domenica 9 febbraio 2020: La guarigione del figlio del funzionario regio (Gv, 46-54)

figlio guarito

Dalla Giudea, attraverso la Samaria, Gesù ritorna in Galilea, la sua Galilea, dove tempo prima, durante una festa di nozze, aveva trasformato l’acqua in vino. Cana, dunque, alla periferia del tempio, tra gli impuri, nel Vangelo è paese di festa e di morte: momenti centrali della vita, luoghi dove Gesù si rende presente.         Lungo la strada lo ferma un funzionario del re, che gli chiede di scendere a Cafarnao per guarire suo figlio “che sta per morire”. La risposta è secca: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”. Sì, chiediamo magia invece del miracolo, che comporta un cammino, un movimento del cuore, il coltivare la capacità di guardare con gli occhi di Dio. Ma il funzionario del re insiste: egli forse ancora non crede, ma ama e il “figlio” per cui ha chiesto l’aiuto a Gesù, che diventa nella seconda richiesta “il mio bambino”, rendendo il suo appello più struggente e così vero e profondo, da toccare il cuore di Gesù: “Và, tuo figlio vive”. Poche battute, il volto e lo sguardo di Gesù arrivano ora diritti in fondo al cuore di quest’uomo, e sì, ora anche lui crede. E diventa padre. Poche parole che restituiscono vita, quando ormai la si credeva perduta. Non è solo la guarigione fisica quella che interessa a Gesù. Determinante è il percorso del padre. Il suo mettersi in cammino alla ricerca di Gesù, per intercettarlo lungo la strada per osare chiedergli l’impossibile: guarire un bambino che sta per morire. Magari sperando di scaricare la responsabilità su Gesù: o tu guarisci o muore. Ma la frase con cui Gesù gli risponde congedandolo, annuncia una guarigione già avvenuta. Il funzionario regio, col cuore rinnovato, accetta l’assurdo di una guarigione a distanza. Egli ha dovuto ridiventare “padre” e il figlio “bambino”, perché quello che doveva essere guarito forse non era solo il corpo del piccolo, ma la loro relazione. Perché per Gesù la vita è importante, va accolta, custodita, cullata nelle relazioni buone, che danno vita.  

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